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Il Decreto ‘PNRR 4’ torna sul tema del CCNL applicabile negli appalti pubblici e privati – 468/24

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A prescindere dal CCNL applicato da appaltatori e subappaltatori, il committente deve verificare che costoro riconoscano al personale impiegato nell’appalto un trattamento pari a quello del CCNL ‘leader’ per il settore e per la zona.

Con la legge 29 aprile 2024, n. 56 – pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile scorso e in vigore dal 1° maggio – è stato convertito, con modificazioni, il decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, recante “Ulteriori disposizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, c.d. ‘decreto PNRR 4’. Tra le novità introdotte dal decreto, figurano le disposizioni dettate al fine di contrastare il lavoro irregolare negli appalti pubblici e privati.

L’art. 29 interviene in materia di trattamento economico e normativo del personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto; introduce la verifica obbligatoria della congruità dell’incidenza della manodopera nell’ambito degli appalti pubblici e privati di realizzazione di lavori edili; sanziona il versamento del saldo finale in assenza di esito positivo della verifica di congruità o di previa regolarizzazione della posizione da parte dell’impresa affidataria dei lavori.

Con riferimento al trattamento economico e normativo del personale impiegato nell’appalto e nel subappalto, l’art. 29, comma 2, prevede che questo non possa essere complessivamente inferiore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto. Il contratto collettivo di riferimento non è quello maggiormente applicato nel settore, bensì quello stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Tale previsione si colloca in continuità con il disposto dell’art. 11, comma 1, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (codice dei contratti pubblici), che dispone l’applicabilità del contratto collettivo stipulato “dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”. Tanto negli appalti pubblici, quanto negli appalti privati, dunque, il contratto collettivo di riferimento deve essere individuato nell’ambito della c.d. ‘contrattazione collettiva leader’ (i contratti delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) e, una volta individuata la zona e il settore, dovrà essere selezionato il contratto in ragione della stretta connessione con l’oggetto delle prestazioni. Il contratto così individuato funge da parametro di confronto per stabilire se il trattamento economico e normativo applicato al personale impiegato nell’appalto è ad esso almeno equivalente (“non inferiore”), restando ferma la facoltà dell’appaltatore di applicare un differente contratto collettivo che garantisca ai propri dipendenti le stesse tutele.

La norma estende, poi, la responsabilità solidale del committente imprenditore e dell’appaltatore/subappaltatore, per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi, alle ipotesi in cui l’utilizzatore ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati, nonché nei casi di appalto e di distacco privi dei requisiti che devono essere necessariamente presenti perché si configurino tali istituti. Ai sensi della normativa vigente, si ha ‘somministrazione’ quando un’agenzia autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti che, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, ex art. 30 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81; si ha ‘appalto’ quando il potere organizzativo e direttivo è esercitato dall’appaltatore, ex art. 29, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276; si ha ‘distacco’ quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, ex art. 30 d.lgs. 276/2003). Il committente, dunque, è responsabile in solido con l’appaltatore/subappaltatore non soltanto in caso di mancata corresponsione dei trattamenti retributivi dovuti nei confronti dei lavoratori da questi ultimi direttamente impiegati, ma anche in caso di ricorso illegittimo a forme di somministrazione, appalto e distacco di manodopera.

Sia in ambito privatistico, sia in ambito pubblicistico, l’art. 29, comma 10, del decreto PNRR 4 introduce l’obbligo per il RUP (negli appalti pubblici) e per il committente (negli appalti privati) di verificare, prima di procedere al saldo finale dei lavori, la congruità dell’incidenza della manodopera sull’opera complessiva, secondo le modalità stabilite dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 25 giugno 2021, n. 143. Tale decreto ministeriale (emanato in attuazione dell’art. 8, comma 10-bis, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, c.d. ‘decreto semplificazioni’) stabilisce che la congruità della manodopera impiegata dall’appaltatore è verificata in relazione agli indici minimi riferiti alle singole categorie di lavori, come determinati nella tabella allegata all’Accordo collettivo del 10 settembre 2020 sottoscritto tra le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali, e precisa altresì che, negli appalti privati, la congruità è verificata soltanto nelle opere il cui valore risulti complessivamente di importo pari o superiore a € 70.000.

La violazione dell’obbligo della verifica di congruità è sanzionata diversamente, com’è ovvio, in ambito pubblicistico e in ambito privatistico. Negli appalti pubblici di valore complessivo pari o superiore a € 150.000, il versamento del saldo finale in assenza di esito positivo della verifica, ovvero in caso di mancata previa regolarizzazione della posizione da parte dell’impresa affidataria, comporta – fermi restando i profili di responsabilità amministrativo-contabile – la valutazione di tale contegno nell’ambito della performance del RUP da parte della stazione appaltante, nonché la comunicazione degli esiti dell’accertamento all’Autorità nazionale anticorruzione ai fini dell’esercizio dei poteri di vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti pubblici. Negli appalti privati di valore complessivo pari o superiore a € 500.000, invece, il versamento del saldo finale in assenza di esito positivo della verifica, ovvero in caso di mancata previa regolarizzazione della posizione da parte dell’impresa affidataria, comporta la corresponsione al committente di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 5.000.

Il legislatore, dunque, anche in conseguenza dei recenti gravi incidenti verificatisi in alcuni cantieri, ha inteso responsabilizzare, sul piano sociale, i committenti di appalti pubblici e privati – in particolare di lavori edili – imponendo loro attente verifiche tanto sull’inquadramento contrattuale applicato ai dipendenti degli appaltatori e dei subappaltatori, quanto sulla congruità del costo del personale impiegato nell’esecuzione.

Clicca qui per scaricare il testo coordinato del decreto:

Testo_Decreto