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Equo compenso e Codice appalti: il Tar Veneto afferma il principio di eterointegrazione del bando – 464/24

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Negli affidamenti concernenti prestazioni d’opera intellettuale non è ribassabile il compenso determinato dalla stazione appaltante con l’applicazione dei parametri previsti dalla legge sull’equo compenso ed è sancito il principio di eterointegrazione del bando in caso di lacuna dei relativi riferimenti.

Con la sentenza n. 632 del 3 aprile 2024, il Tar Veneto (sez. III) esamina il tema del rapporto tra la l. 21 aprile 2023, n. 49 sull’equo compenso e il Codice degli appalti pubblici tentando di chiarire le modalità con cui gli strumenti predisposti dalla prima trovino applicazione nelle procedure ad evidenza pubblica.

La pronuncia muove dall’impugnazione dell’aggiudicazione di una procedura per l’affidamento di incarichi di progettazione e coordinamento della sicurezza, regolata dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, nella quale l’importo a base di gara era stato calcolato ai sensi del d.m. 17 giugno 2016. Il ricorrente deduce l’illegittimità dell’aggiudicazione in quanto il vincitore (e tutti i concorrenti, escluso soltanto il ricorrente) avrebbe formulato un ribasso sui compensi in violazione della l. 49/2023 che, per espresso riconoscimento della stazione appaltante, era ritenuta applicabile alla gara de qua.

La l. 49/2023 ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali incrementandone le tutele e garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di ‘contraenti deboli’. La legge, in sostanza, afferma il principio secondo cui coloro che svolgono prestazioni d’opera intellettuale hanno diritto alla corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo in considerazione il contenuto e le caratteristiche della prestazione professionale, nonché i compensi previsti dalle singole categorie professionali d’appartenenza. La violazione di quanto appena affermato è sanzionata dal legislatore con la nullità della clausola che non prevede un compenso equo e proporzionato all’opera prestata. Detta nullità non travolge anche il contratto, che resta valido ed efficace nelle parti ulteriori ed è impugnabile dal professionista innanzi al tribunale ordinario per far dichiarare la nullità della pattuizione e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso, con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista.

A ben vedere, le disposizioni della l. 49/2023 sono focalizzate sulla fattispecie in cui il professionista ha stipulato un contratto con previsioni contrastanti con le regole dell’equo compenso e predispongono tutele e rimedi per i casi in cui l’attività professionale sia stata prestata e si voglia ottenere una rideterminazione del compenso. La legge non menziona né la fase della contrattazione (in ambito privatistico), né la fase competitiva propria delle procedure di gara: in tali momenti il professionista potrebbe essere leso dall’affidamento ad un altro professionista che offra condizioni di corrispettivo inferiori a quelle previste dai parametri di legge.

Da ciò deriva la difficoltà di coordinamento delle disposizioni sull’equo compenso con la disciplina dell’evidenza pubblica, poiché la l. 49/2023 non detta alcun criterio per l’applicazione, nei bandi di gara, di clausole sull’equo compenso che possano rappresentare un limite alla ribassabilità dell’importo posto a base di gara.

Inoltre, la l. 49/2023 e il Codice dei contratti pubblici contengono due disposizioni contrastanti: da un lato, la l. 49 cit. (all’art. 3, comma 2) sanziona con la nullità qualsiasi patto che preveda per i professionisti un compenso inferiore ai parametri ministeriali consentendo, per quanto qui interessa, che l’esito della gara possa essere impugnato innanzi al tribunale ordinario per la dichiarazione di nullità della clausola e per la rideterminazione del compenso; dall’altro lato, l’art. 8 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, nell’affermare l’applicazione del principio dell’equo compenso (senza tuttavia prevedere sanzioni per la sua eventuale violazione), ammette – seppur in casi eccezionali e adeguatamente motivati – la possibilità che le prestazioni d’opera intellettuale siano prestate dai professionisti gratuitamente.

Dato il contrasto di previsioni tra le due fonti e le conseguenti incertezze applicative, l’Autorità nazionale anticorruzione, in occasione della pubblicazione, a gennaio 2024, del documento di consultazione relativo al Bando tipo n. 2/2023 (Schema di disciplinare di gara – Procedura aperta per l’affidamento di contratti pubblici di servizi di architettura e ingegneria di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo) ha segnalato la questione alla Cabina di Regia, al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ed ha altresì formulato tre possibili soluzioni.

Una prima opzione ipotizza che il compenso professionale individuato sulla base delle tabelle ministeriali da porre a base di gara sia in ogni caso inderogabile e, pertanto, non possa essere assoggetto al ribasso in sede di offerta. Conseguentemente le gare che hanno ad oggetto esclusivamente prestazioni professionali devono essere aggiudicate a prezzo fisso, secondo quanto previsto dall’art. 108, comma 5, d.lgs. 36/2023, e la competizione tra i concorrenti potrà svolgersi soltanto in base a criteri qualitativi.

La seconda soluzione ipotizzata prevede che il ribasso possa essere praticato soltanto sulle spese generali, mantenendo ferma la quota corrispondente al compenso professionale. Tale ipotesi presenta il rischio, segnalato dalla stessa Anac, che i concorrenti più strutturati offrano tutti il massimo ribasso sostenibile, attestandosi su una quota fissa e attivando, anche in questo caso, una gara a prezzo fisso.

L’ultima soluzione ipotizzata prospetta che la disciplina dell’equo compenso non sia applicabile alle procedure di evidenza pubblica. Tale tesi (non condivisa da Anac) muove dal rilievo che la previsione di tariffe minime si pone in contrasto con il principio di concorrenzialità; inoltre, l’art. 2, comma 1, della l. 49/2023 definisce il proprio ambito di applicazione in relazione ai rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 c.c., circoscrivendo così la relativa disciplina alle ipotesi in cui la prestazione professionale trova fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale, in cui il singolo professionista assicura lo svolgimento dell’attività principalmente con il proprio lavoro autonomo. Resterebbero, quindi, escluse dall’applicazione della disciplina sull’equo compenso le ipotesi in cui la prestazione professionale viene resa nell’ambito di un appalto di servizi, attraverso una articolata organizzazione di mezzi e risorse e con assunzione del relativo rischio imprenditoriale. Inoltre, negli appalti non ricorrerebbe la situazione di asimmetria causata dalla posizione dominante del committente, poiché la formulazione dell’offerta è adeguatamente ponderata da parte del concorrente e il rischio di ribassi eccessivi e non sostenibili è scongiurato dalla previsione del meccanismo di verifica dell’anomalia.

Gli accennati dubbi sull’applicabilità della legge sull’equo compenso alla materia dei contratti pubblici sono risolti dal Tar nel senso di ritenere “inequivoca” l’applicabilità della l. 49/2023 alle procedure ad evidenza pubblica. Da un lato, infatti, è la stessa l. 49 che prevede l’applicazione del principio dell’equo compenso anche nei confronti della pubblica amministrazione e che consente l’impugnazione “dell’esito della gara” in caso di sua violazione; dall’altro lato, l’art. 8, d.lgs. 36/2023 prevede espressamente che l’applicazione dell’equo compenso debba essere garantita nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.

Con riferimento al criterio di aggiudicazione, il Collegio non ravvisa incompatibilità tra la disciplina dell’equo compenso e il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, sposando la seconda opzione interpretativa prospettata da Anac e sopra menzionata. In sostanza, dunque, il compenso determinato dalla stazione appaltante con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività oggetto di appalto deve ritenersi non ribassabile, “trattandosi di ‘equo compenso’ il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa”. Il ribasso potrà, invece, essere formulato sulle voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.

Infine, il Collegio sancisce il principio di eterointegrazione del bando di gara in caso di lacuna nella di gara dei riferimenti alla legge sull’equo compenso. L’eterointegrazione, come noto, opera soltanto in presenza di norme imperative e cogenti; l’imperatività della legge sull’equo compenso è dedotta dal Collegio sulla base di due elementi: (i) la testuale previsione della nullità; (ii) la natura dell’interesse protetto dalla norma, che si ancora direttamente all’art. 36 Cost., tutelando un diritto costituzionalmente protetto quale quello ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.

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Tar Veneto_III_20240403_632